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Il mistero dell’obelisco di Piazza del Gesù Nuovo che si trasforma al tramonto

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piazza del gesù

Piazza del Gesù Nuovo è uno dei luoghi più caratteristici del centro storico di Napoli. Non a caso, proprio per la sua rilevanza storica, è stata dichiarata dallUnesco “patrimonio dell’umanità”. Tuttavia, come molti luoghi della città, la piazza e, specialmente, la Chiesa del Gesù Nuovo, da cui prende il nome, nascondono segreti secolari, frutto di credenze ben più antiche ed oscure della religione, messaggi incisi nella pietra che solo occhi esperti possono individuare. Il sito “gli indagatori del mistero” ha svelato due dei più grandi segreti del luogo. Il primo riguarda il bugnato della chiesa. Il secondo, la statua dell’immacolata che si erge al centro della piazza.

Immacolata in Piazza del Gesù Nuovo

Immacolata in Piazza del Gesù Nuovo

Di fronte al bugnato sorge una statua dell’Immacolata, voluta dai gesuiti quando presero possesso del Gesù Nuovo. Eppure, anche l’immagine delle Madonna nasconde un segreto, o forse è solo suggestione. In alcune ore del giorno, specialmente con la luce del tramonto o dell’alba, l’aspetto della statua cambia alla vista. Il drappo non sembra più coprire la Vergine, ma una figura scheletrica che regge una falce: la Morte. Alcuni associano tale figura a quella della “Santa Muerte”, la “Santissima” divinità venerata da alcuni culti e sette sorti in Messico e che alimentano alcune branche di criminalità negli U.S.A.. E’ quasi impossibile credere che un simile culto sia nato a Napoli secoli prima di diffondersi in Messico, eppure quella figura incappucciata che sembra quasi sostituirsi alla effige santa sembra proprio richiamare la blasfema tradizione di oltreoceano. Che sia suggestione o uno strascico di antichi culti non è dato sapere, eppure molti storici dell’arte e studiosi, poco inclini alle suggestioni, sono pronti a confermare che la statua cambi volto. Quel che è certo è che esplorando per bene gli angoli e le pietre di Napoli, non si sa mai su quale magia e quale mistero potranno cadere gli occhi.

obelisco

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La storia millenaria del complesso di San Lorenzo Maggiore

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Facciata di San Lorenzo Maggiore

Nel suo convento il Boccaccio incontrò Maria d’Aquino, figlia naturale di Roberto d’Angiò, che ispirò la celebre Fiammetta protagonista del Decamerone. Vi soggiornò Petrarca, come si evince da una lettera che scrisse all’amico Giovanni Colonna, e nel 1799 il generale Championnet proclamò l’inizio della Repubblica Napoletana. La basilica di San Lorenzo Maggiore è una delle più importanti chiese medievali di Napoli.

Interno di san Lorenzo Maggiore

Nel VI secolo d. C. il vescovo Giovanni II fece edificare una chiesa dedicata a san Lorenzo sui resti dell’antica agorà greca divenuta in seguito foro romano. Nel 1234 la basilica paleocristiana fu concessa ai frati Francescani e dopo un quarantina di anni il re Carlo d’Angiò promosse l’abbattimento della vecchia basilica e l’edificazione del nuovo tempio, massima espressione del gotico francese. Nel 1324 fu posto all’interno del deambulatorio la prima opera napoletana di Tino di Camaino: il “Monumento funebre di Caterina d’Austria”, moglie di Carlo d’Angiò. Sfortunatamente, nel 1456, un violento terremoto danneggiò la chiesa, ma la nuova torre campanaria in piperno, a base quadrata e a quattro piani, fu ugualmente terminata dopo poco e nel Cinquecento fu ulteriormente ristrutturata. Questo stesso campanile, dopo essere diventato un deposito d’armi, fu preso d’assedio nel 1547 durante la rivolta contro don Pedro de Toledo scoppiata dopo che quest’ultimo aveva promulgato un editto con cui istituiva l’ufficio dell’Inquisizione. Fu protagonista anche della rivoluzione guidata da Masaniello, durante la quale i suoi fedeli la presero d’assalto e la utilizzarono come avamposto di artiglieria contro gli spagnoli. Infine fu nuovamente occupata durante la congiura di Macchia. Nel 1701 la nobiltà napoletana tentò, senza successo, di rovesciare il governo vicereale dopo la morte di Carlo II di Spagna. Tra gli aristocratici coinvolti vi fu anche Gaetano Gambacorta, principe di Macchia, che diede nome all’avvenimento. In questi anni Cosimo Fanzago realizzò il pozzo di marmo e piperno custodito dal chiostro settecentesco da cui si accede tramite il convento.

Sempre Cosimo Fanzago fu l’autore del rifacimento della terza cappella di destra verso la metà del Seicento, la cappella Cacace, che è stata decorata in stile barocco, modificando l’arco a sesto acuto in arco a tutto sesto e rappresentando, dunque, un punto, se così vogliamo dire, stonato all’interno dell’austero gotico della basilica. La cappella Cacace costituisce, quindi, la testimonianza del fatto che i lavori che riguardano edifici monumentali solo recentemente si sono cominciati a effettuare rispettando lo stile dell’edificio stesso, in modo da renderlo il più possibile simile a quello che doveva essere l’originale, mentre in passato tali lavori venivano eseguiti secondo il gusto contemporaneo, anche a costo di entrare in contrasto col resto della struttura.

area archeologica di san Lorenzo Maggiore

Nel 1732 un ulteriore terremoto fece crollare quasi del tutto la facciata della chiesa che fu poi riedificata su disegno di Ferdinando Sanfelice, artista di epoca barocca a cui si devono anche gli altari della chiesa. I bassorilievi sull’altare maggiore sono invece opera di Giovanni da Nola, il più importante scultore del Rinascimento napoletano. Per tutto l’Ottocento la chiesa e il convento poterono ospitare frati solo a fasi alterne a causa delle leggi napoleoniche prima, e del decreto di soppressione degli Ordini Religiosi, promulgato dal governo sabaudo, poi. Vi rientrarono solo a partire del 1930. Nel 2005 è stato inaugurato il Museo dell’Opera, in cui vi sono i resti archeologici della Neapolis greca sottostante e le collezioni di dipinti, antichi abiti monacali e arredi del monastero risalenti al Settecento e all’Ottocento. Indubbiamente in tutti questi anni si sono susseguiti numerosi lavori di restauro che hanno cambiato, insieme con i bombardamenti della seconda guerra mondiale, il disegno originale del complesso, ma ciò che ne resta oggi è un capolavoro singolare, che per la sua stratificazione archeologica, architettonica e artistica, è capace di raccontare tutte le epoche storiche che ha vissuto.

Fonti: Claudia Viggiani, “L’Italia di Giotto: Itinerari giotteschi”, Roma, Gangemi, 2009

Cristian Bonetto, Josephine Quintero, “Napoli e la Costiera Amalfitana”, Lonely Planet, 2010

Laure Raffaëlli-Fournel, Cécile Gall, “Napoli e Pompei”, Milano, Touring Club, 2003

Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Roma, Newton Compton, 2014

Sito san Lorenzo Maggiore

Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.

 

 

Come arrivare al Complesso di San Lorenzo Maggiore

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Santa Maria della Pietà dei Turchini, la chiesa-museo dell’Incoronatella

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Chiesa Santa Maria Incoronatella

Un tempo era una delle più belle e popolate strade non dico di Napoli, ma dell’Italia. […] A sinistra vedesi una chiesa detta Santa Maria dell’Incoronatella, oggi una delle chiese Parrocchiali istituite dal Cardinale Alfonso Gesualdo. Fu questa fondata nell’anno 1400 dalla famiglia Serguidone, e poi il Jus padronato passò alla famiglia Griffa nobile del Seggio del Porto: essendo poi quasi rovinata, fu rifatta dalla pietà del Conte di Benevento Vicerè”.  È così che Carlo Celano nel suo “Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli” scrive della rua Catalana e della parrocchia Santa Maria della Pietà dei Turchini.

In realtà però Celano commette un errore poiché l’edificio fu eretto tra il 1592 e il 1607. La denominazione deriva dal colore delle tuniche che indossavano i ragazzi abbandonati accolti, nell’istituto annesso, dalla Congregazione dei bianchi dell’oratorio. Il complesso comprendeva infatti un edificio sacro, un orfanotrofio e un conservatorio musicale. Qui studiarono alcuni dei più importanti artisti del XVII-XVIII secolo quali Alessandro Scarlatti, Giovan Battista Pergolesi e Giovanni Paisiello che diedero alla struttura il nome di “fabbrica dei cantori napoletani del Sei e del Settecento”. La “fabbrica” fu, infatti, uno dei primi quattro conservatori napoletani dalla fusione dei quali nacque, nel 1807, il Real Collegio di Musica divenuto l’attuale Conservatorio di San Pietro a Majella.

Luca Giordano,”Invenzione della Croce”

La chiesa che inizialmente aveva una sola navata e dieci cappelle, cinque per lato, fu ristrutturata fra il 1633 e il 1639 e in questa occasione all’edificio furono aggiunti il transetto, l’abside e la cupola. Per ampliare la struttura furono acquistati tre appartamenti e un terraneo situati nella strada di San Bartolomeo, al costo di 3280 ducati. Tutte le cappelle furono affrescate dai maggiori artisti che all’epoca lavoravano a Napoli. In particolare va ricordata la tela conservata nella terza cappella a destra, raffigurante la “Sacra Famiglia”, quest’opera realizzata nel 1617 da Battistello Caracciolo è un omaggio alle “Sette opere di Misericordia” di Caravaggio. Sono invece di Luca Giordano “Invenzione della Croce”, “San Giacinto passa il Boristene” e “Santa Rosa da Lima vede la Madonna”. Nella prima opera, dipinta tra il 1660 e il 1665, il pittore napoletano raffigura uno degli episodi salienti della leggenda della Croce di Gesù. Con queste tele Giordano contribuisce a conferire uno stile barocco, tuttora principale, alla chiesa della Pietà dei Turchini.

Andrea Vaccaro, “S.Anna che offre Maria all’Eterno e San Tommaso”

Classicheggianti sono invece le opere di Andrea Vaccaro come “Sant’Anna che offre Maria all’Eterno” e “San Tommaso” in cui il pittore si rifà alla scuola emiliana soprattutto di Guido Reni. Infine, sono di Giacinto Diano “Adorazione dei pastori”, “l’Adorazione dei Magi” e la “Circoncisione”, che decorano l’altare, oltre alla “Strage degli Innocenti” formata da una fascia centrale e due tele laterali. Tutte le composizioni sono definite da colori chiari e brillanti in cui vi è un forte equilibrio tra le figure e l’architettura. Tra il 1769 e 1770, furono affidate all’ingegnere napoletano Bartolomeo Vecchione la progettazione e la direzione dei lavori per la realizzazione di un atrio innanzi alla chiesa, oggi scomparso, ma raffigurato nella pianta realizzata dal duca Carafa di Noja.

Fonti: Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Roma, Newton Compton, 2014; Francesco Florimo, “Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli”, Napoli, Rocco, 1869; Carlo Celano, Giovanni Battista Chiarini, “Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli”, Napoli, Chiurazzi, 1870.

Sito della Chiesa della Pietà dei Turchini

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Santa Maria in Cosmedin. Una delle chiese più antiche di Napoli

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Santa Maria in Cosmedin-2

Il suo nome deriva dal termine greco kosmidion, che significa “ornamento”, eppure oggi di ornamenti, in questa chiesa, ne sono rimasti davvero pochi. Santa Maria in Cosmedin è situata nel quartiere di Portanova, non lontano da piazza Mercato e corso Umberto I. Secondo una leggenda fu fondata nel 290 d. C. da Costantino, il primo imperatore romano cristiano, prima ancora che egli diventasse imperatore d’Oriente e d’Occidente e promulgasse l’editto di Milano. Le prime notizie sulla chiesa risalgono però all’ottavo secolo, molto probabilmente la sua costruzione fu successiva all’Augusto.

SAN ANTONIO - ENERO

Antonio M. Zaccaria istituisce i tre Collegi paolini: Barnabiti, Angeliche e Laici:

Probabilmente, all’inizio, fu frequentata da fedeli di origini bizantina poiché per lungo tempo nel complesso si mantenne la tradizione di celebrare le messe in lingua greca. Ai piani superiori alloggiarono numerosi sacerdoti e il vescovo Eustazio, che era venerato dai Barnabiti. Questi ultimi presero possesso della struttura nel XVII secolo. Chiamati così poiché provenienti dalla chiesa milanese di San Barnaba, i padri della congregazione dei chierici regolari di San Paolo cercarono, arrivati a Napoli, di installarsi nella chiesa di sant’Arcangelo agli Armeri, fu invece concessa loro la chiesa di Santa Caterina Spina Corona. Nel 1609 si trasferirono nella basilica di Santa Maria in Cosmedin. Dell’edificio originale era però rimasto ben poco, così i preti restaurarono il complesso ponendo le basi barocche che possiamo ammirare ancora oggi. Napoli all’epoca era divisa in cinque grandi regioni, Capuana, Nido, Montagna, Porto e Portanova, ognuna delle quali possedeva il proprio seggio, ossia un luogo dove si riunivano le nobili famiglie del quartiere. Nello slargo della chiesa di Santa Maria in Cosmedin si trovavano il seggio di Portanova e i palazzi delle due famiglie più importanti del luogo: i Bonifacio e i Mormile. A dare queste informazioni sono i barnabiti stessi: “La chiesa de Santa Maria in Cosmodin comunemente detta di Porta Nova è posta al centro di questa città verso la marina da quella però alquanto discosta; è congionta al seggio di Porta Nova, uno de’ cinque seggi, cioè luoghi, dove si congregano li nobili di Napoli, né quali cinque seggi è divisa quasi la maggior parte della nobiltà napoletana, da’ quali cavalieri del seggio di Porta Nova s’è havuta detta chiesa”. Questa descrizione fa anche capire quanto questo complesso religioso fosse importante all’epoca per gli aristocratici napoletani.

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chiesa di Santa Maria in Cosmedin

Con il passare del tempo, la chiesa subì diverse modifiche architettoniche che trasformarono ulteriormente la facciata e gli interni. Purtroppo però oggi nessuno di questi cambiamenti può essere ammirato poiché il complesso è chiuso da oltre un secolo. Muffa, polvere ed escrementi di piccione regnano incontrastati nei reparti interni. Tele e ornamenti sono stati trafugati, così come una parte dell’altare, le statue, i marmi e le fonti battesimali. Non è stata risparmiata neanche una vasca sacra d’epoca romana. Ciò che rimane di una delle più antiche parrocchie di Napoli è un crocifisso di legno a cui però sono rimaste attaccate solo le braccia e un piede del Cristo. Nonostante la chiesa sia stata inserita nel progetto di recupero e rivalutazione del centro storico dell’Unesco, non è tornata ancora al suo antico splendore.

Fonti: Battista Pacichelli, “Il Regno di Napoli in prospettiva diviso in dodeci provincie”, Napoli, Michele Luigi Mutio, 1703; Francesco Luigi Barelli, “Memorie della congregazione de’ chierici regolari di San Paolo”, Bologna, 1707; Emilio Ricciardi, “Arte lombarda”, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2002; “Napoli, crolla S. Maria in Cosmedin la più antica parrocchia della città” in “Il Mattino”, Marzo 2010.

Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.

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San Giovanni a Carbonara. Una storia tra la cenere

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Photo by Konstantin Mitroshenko

Photo by Konstantin Mitroshenko

In epoca medievale, nel pieno centro di Napoli c’era una strada adibita allo scarico dei rifiuti inceneriti. Non era certo un posto bello a vedersi, eppure in un luogo tanto umile, dall’aria pesante e irrespirabile, dai muri anneriti e l’aspetto abbandonato sarebbe presto sorta una tra le Chiese più belle e ricche di Napoli. Una di quelle chiese dalla storia lunga e complessa, in cui il potere temporale e quello spirituale si intrecciano dando vita a splendide realtà di marmo e colore.

Su un piccolo monastero agostiniano venne infatti costruita, a partire dal 1339 e fino al 1418, la Chiesa di San Giovanni a Carbonara mediante il contributo del nobile napoletano Gualtiero Galeota.

Fu re Ladislao, ultimo erede del casato angioino che qui voleva essere seppellito, a commissionare nel Quattrocento l’ampliamento della Chiesa, il suo arricchimento con pregevoli marmi policromi e l’aggiunta di un chiostro esterno a quello preesistente.

La Chiesa di San Giovanni a Carbonara è il risultato dell’annessione di più strutture architettoniche: la scala in piperno a doppia rampa, realizzata daFerdinando Sanfelice nel 1707, nasconde l’ingresso alla sottostante Chiesa della Consolazione a Carbonara; il portale centrale introduce alla Cappella di Santa Monica, quello di sinistra all’ingresso laterale della Chiesa di San Giovanni.

Photo by Konstantin Mitroshenko

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La facciata della Chiesa di San Giovanni a Carbonara è molto semplice: al centro vi si apre uno splendido portale gotico con due pilastri ornati ed una lunetta affrescata dal pittore lombardo Leonardo da Besozzo.

Otto stemmi angioini e la figura del sole splendente, simbolo della famiglia nobiliare Caracciolo del Sole, ornano la zona dell’arco.

L’interno, a croce latina con un’unica navata rettangolare, sfocia nell’absidevoltato a crociera.

L’altare maggiore con balaustra, realizzato nel 1746, è completato da una splendida pavimentazione a marmi policromi e posto tra due finestroni a linea tipicamente gotica che inondano l’interno di luce. Una splendida statua dellaMadonna delle Grazie, di Michelangelo Naccherino, ingentilisce l’insieme.

Il complesso presenta decorazioni scultoree e pittoriche dal gusto prevalentemente gotico e rinascimentale, tutte di pregevole fattura.

www.vienianapoli.it

Nell’abside domina il monumento funebre a re Ladislao. Alto circa 18 metri, è tradizionalmente attribuito ad Andrea da Firenze ma sarebbe in realtà opera di più artisti toscani e settentrionali.

Temperanza, Fortezza, Prudenza e Magnanimità: le quattro virtù sorreggono il monumento.

Ai lati, in due edicole, i dipinti di Leonardo da Besozzo: Sant’Agostino e San Giovanni.

Due archi a tutto sesto formano una grande nicchia che incornicia sei statue sedute, tra cui Ladislao e Giovanna in trono. Le due figure ricompaiono nel sarcofago, assieme a Carlo III e Margherita.

Al di sopra, la figura del re giacente, benedetto da un vescovo, redime l’anima del sovrano che fu in realtà scomunicato.

Sulla sommità, la statua di Ladislao a cavallo completa di armatura e con spada sguainata: una rappresentazione inusuale in un luogo di culto.

Armando Mancini - Flickr: Napoli - Chiesa di San Giovanni a Carbonara.

Armando Mancini – Flickr: Napoli – Chiesa di San Giovanni a Carbonara.

La sacrestia era arricchita da sedici tavole realizzate dal Vasari con la collaborazione di Cristoforo Gherardi e che sono oggi collocate al museo di Capodimonte; del Vasari è rimasta nella chiesa, accanto al monumento a re Ladislao, una splendida Crocefissione.

La Chiesa di San Giovanni a Carbonara sfocia in sei cappelle, aggiunte in tempi diversi: quattro laterali, una nella controfacciata ed una alle spalle dell’abside.

Foto di Armando Mancini - Flickr: Napoli - Chiesa di San Giovanni a Carbonara

Foto di Armando Mancini – Flickr: Napoli – Chiesa di San Giovanni a Carbonara

La Cappella Caracciolo del Sole, dietro l’abside, è accessibile passando sotto il monumento funebre a re Ladislao. Dal gusto rinascimentale, è ricca di affreschi del Perinetto e di Leonardo da Besozzo. Custodisce il sepolcro di Sergianni Caracciolo, consigliere della regina Giovanna II di Napoli.

Photo by Konstantin Mitroshenko

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Uno splendido presepe fu commissionato nel 1478 da Jaconello Pipe, aromatario del duca di Calabria, a Pietro e Giovanni Alamanno. Composto da quarantacinque figure pastorali, fu dapprima sistemato nella cappella Recco e successivamente nel museo di San Martino.

Photo by Geo S www.panoramio.com

Photo by Geo S www.panoramio.com

Un ambiente che merita di essere menzionato è la cappella Miroballo. Addossata alla parete di fronte all’ingresso della Chiesa di San Giovanni a Carbonara, è stata attribuita a vari artisti lombardi come il Malvito o Jacopo della Pila. È arricchita da numerose statue, tra cui una Madonna col Bambino e Troiano Miroballo con la moglie presentati dai due Ss. Giovanni. Il sepolcro di Antonio Miroballo e vari affreschi qui presenti, di epoca quattrocentesca, sono opera di Lorenzo Vaccaro.

È un luogo, la Chiesa di San Giovanni a Carbonara, in cui l’anima scivola tra storia e arte, tra fede e bellezza, e volgendo lo sguardo ovunque si trovano memorie del passato a ricordarci chi siamo stati.

Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.

Orari: 8.00/12.00 – 16.30/20.30
8.00/14.00 (festivo)

 

Come arrivare alla Chiesa di San Giovanni a Carbonara

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Dalle tenebre a nuova luce, la Chiesa di Santa Croce e Purgatorio al Marcato

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Decapitazione di Corradino di Svevia

29 ottobre 1268. Un ragazzino di 16 anni, Corradino, viene condotto in piazza del Mercato, a Napoli.
Cerca di tenersi in piedi, mentre lo strattonano spingendolo avanti, in mezzo ad una folla urlante. Le catene gli lacerano la pelle, ma presto non sentirà più nulla. Un colpo secco alla nuca e la sua vita sarà finita.

Il suo nome completo è Corradino di Svevia, ultimo della dinastia degli Hohenstaufen, sconfitto dallo schieramento di Carlo I d’Angiò.

Comincia così, in modo cruento, la storia della Chiesa di questa domenica: Santa Croce e Purgatorio al Mercato.

1351. In Piazza del Mercato, nel luogo in cui sorge una colonna con croce in stile gotico a segnalare il punto in cui avvenne l’esecuzione, viene eretta la Cappella di Santa Croce.

Domenico Gargiulo – Piazza Mercatello Peste 1656

1656. Un’epidemia di peste flagella Napoli. Lo scenario è dei peggiori: le vittime, accatastate ovunque, vengono infine deposte in varie zone della città. I numeri sono fuori misura. Proprio qui, nei granai di Piazza del Mercato, la fossa comune più grande culla quarantasettemila vittime. In loro onore, perché i defunti trovino pace, viene posta la Cappella del Purgatorio.

1871. La festa della Madonna del Carmine culmina in tragedia. I fuochi scatenano un incendio che distrugge varie costruzioni della zona, tra cui le due cappelle.

1876. Francesco Sicuro progetta una esedra in muratura ed una nuova chiesa per la piazza, lasciando che i resti delle cappelle precedenti rivivano nel nuovo luogo di culto: è la gestazione della Chiesa di Santa Croce e Purgatorio al Mercato, nelle cui fondazioni ancora oggi si intravedono le ossa dei cittadini napoletani uccisi dall’epidemia.

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La Chiesa di Santa Croce e Purgatorio cela questi tumulti dietro una equilibrata facciata neoclassica che ricorda, in basso, un tempio. Quattro colonne doriche e due semicolonne scanalate incorniciano il portale, sorreggendo il timpano che reca in alto lo stemma borbonico. Si aprono sul prospetto, inoltre, quattro nicchie ospitanti le statue dei Santi Gennaro ed Eligio, alla base, Pietro e Paolo in alto. Due finestre in basso ed una in alto riempivano il luogo di riverberi luminosi, animando gli antichi marmi colorati.

La struttura culmina in una pregevole cupola. Bande maiolicate in verde, giallo ed azzurro dividono la superficie in spicchi decorati con altrettante maioliche verdi e gialle, rappresentanti un motivo a fiori.

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All’interno, la pianta a croce greca è divisa in tre navate. Sul portale di accesso, una splendida cantoria in legno bianco bordato d’oro ospita un organo.

I soffitti recano decorazioni di bianco stucco su fondo verde. Verdi e bianche, con spunti di rosso, sono anche le decorazioni interne della cupola.

Sono qui custodite la lapide commemorativa della esecuzione di Corradino ed il ceppo con lo stemma dei cuoiai sul quale, secondo la leggenda, il sovrano fu decapitato per mano di Punzo, un conciatore di pelli.

Grandi cornici in marmo e porfido circondavano un tempo le numerose tele, opere di grandi artisti locali tra cui Luca Giordano. Sono state trasferite al Museo Civico di Castel Nuovo.

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Perchè gli eventi che hanno fatto la storia della Chiesa della Santa Croce e Purgatorio ne hanno flagellato l’aspetto più e più volte.

1911. La Chiesa viene parzialmente restaurata: giovano degli interventi la splendida cupola e la facciata.

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1980. Dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, il terremoto dell’Irpinia danneggia gravemente la chiesa di Santa Croce e Purgatorio. Il luogo viene chiuso: l’accesso ai fedeli è negato.

2010. Viene accertato uno stato di degrado insostenibile: la Chiesa di Santa Croce e Purgatorio al Mercato è diventata lo scenario perfetto di atti vandalici, quasi una discarica silente.

campania.peacelink.net

2013. In occasione della festa del Carmine, la Chiesa viene riaperta. I fedeli vivono con commozione il momento, cullati dalle note del concerto che si tiene al suo interno.

Ma il 2013 è un momento importante anche per un altro motivo: il 13 dicembre viene definitivamente approvato il finanziamento di 37.000 euro per salvarlo, nell’ambito del grande progetto “Centro storico di Napoli, valorizzazione del sito UNESCO”.

Si chiude così, per la Chiesa di Santa Croce e Purgatorio al Mercato, un capitolo oscuro, fatto di quasi ottocento anni di buio e di dolore. Si aprirà, speriamo prestissimo, quello della rinascita a nuova vita, quello della gioia, del contatto con il proprio popolo. Sono questi i capitoli che tutti vorremmo leggere sulle stupefacenti Chiese di Napoli.

Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.

 

Come arrivare alla Chiesa di Santa Croce e Purgatorio al Marcato

 

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Santa Restituta: viaggio nel Battistero di San Giovanni in Fonte

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battistero San giovanni in fonte, Duomo di Napoli

Oggi ci accoglie il Battistero di San Giovanni in Fonte.

La Basilica di Santa Restituta a Napoli ci ha lasciati con la promessa di farci viaggiare nel tempo. Eravamo nella navata destra: basta guardare in fondo per capire che la promessa è mantenuta.

E’ qui collocato il primo battistero dell’ Occidente cristiano. Le fonti sono discordanti circa la sua costruzione, ma la struttura architettonica e l’analisi stilistica della decorazione permettono di datarlo alla fine del IV secolo. Recenti restauri hanno svelato i suoi segreti: nel V secolo la struttura fu consolidata, le dimensioni delle finestre ridotte, vennero ampliati e decorati tre dei quattro pennacchi a cuffia in cui sono raffigurati simbolicamente gli evangelisti e restaurati i mosaici nella fascia inferiore della cupola. Tanta dedizione non può che confermare l’amore per il Battistero di San Giovanni in Fonte, che la comunità cristiana del tempo doveva considerare un importante luogo di aggregazione spirituale.

Il battistero è costituito da due ambienti diseguali: la sala battesimale vera e propria, a pianta quadrata, più ampia, ed un portico rettangolare, a volta, separato dalla sala tramite quattro colonne. Il portico fu costruito successivamente, per collegare il Battistero di San Giovanni in Fonte con la Basilica di Santa Restituta. Una piccola, splendida cupola estradossata costituisce il soffitto della sala battesimale. Realizzato in tufo, il battistero prendeva luce da quattro bifore collocate nel tamburo; furono  in seguito modificate dal vescovo Sotere. Nello stesso intervento furono eseguiti mosaici raffiguranti santi martiri, a decorare la nuova muratura. Entrando nel Battistero di San Giovanni in Fonte, si scorgono a sinistra i due ingressi originari, oggi collocati a ridosso dell’abside della Basilica di Santa Restituta. Al centro è posta la vasca battesimale, circolare: realizzata in opus signinum (una mistura impermeabile di materiali edilizi di riciclo: il nostro cocciopesto), ha un diametro di 2 metri ed è profonda poco più di 60 centimetri. Un foro lasciava defluire l’acqua. Mancando qualsiasi struttura idraulica, ne deduciamo che l’acqua vi venisse versata con recipienti, secondo le usanze liturgiche.

Abituati alla magnificenza della Cattedrale – Duomo e della Basilica di Santa Restituta, potreste quasi sentirvi nudi, in questo luogo. In tal caso vi basterà sollevare lo sguardo.

Battistero san Giovanni in fonte, Napoli

I vostri occhi saranno colpiti dallo scintillio di minuscole tessere di un intenso colore blu – turchese, verde, intervallate ad altre tessere d’oro. Queste piccole gocce di passato sono superstiti di una storia splendida, immensa. Hanno resistito allo scorrere dei secoli, alle guerre ed ai terremoti, e sono giunte a noi dal V secolo per raccontarci, con gli occhi dei cristiani del tempo, il culto. Riescono ancora oggi a narrarci alcune scene, seppure frammentarie. L’ arte cristiana dei primi secoli racconta di sacramenti di iniziazione vissuti con grande pathos e partecipazione dalla comunità. Queste scene, rappresentate con vividi colori e tratti netti e decisi, erano la Bibbia dei poveri, che pur non sapendo leggere desideravano partecipare attivamente alla Parola. La volta del Battistero di San Giovanni in Fonte si fa scena perfetta per il racconto, con gli otto spicchi trapezoidali delimitati da fasce dorate. Ogni riquadro raffigura due scene evangeliche.

Il centro della cupola è la zona musiva meglio conservata. In un cielo azzurro trapunto di stelle d’oro campeggia una croce monogrammatica, simbolo della vittoria eterna di Cristo con le lettere greche alfa ed omega (Dio è l’ inizio e la fine). La croce è sormontata dalla mano del Padre Eterno, che stringe una corona d’alloro. All’altezza della mano, su una piccola altura, una fenice (la resurrezione).

La scena rappresenta ciò che il neofita ha ricevuto in dono: il regno del Cristo vincitore in cui egli ha diritto di vivere, in virtù del battesimo ricevuto, dopo la resurrezione.

Nei quattro pennacchi, raffigurazioni simboliche degli evangelisti e al di sopra, scene pastorali con richiami a temi dei Salmi. Di grande suggestione sono le scene bibliche. A nord-est i due episodi evangelici della Samaritana al pozzo e delle Nozze di Cana, con evidente riferimento al battesimo e all’eucaristia. Ad oriente il Battesimo di Gesù al Giordano. A sud-est, tra due palme, la Traditio legis: Cristo in piedi sul globo celeste, consegna a Pietro la Legge.

Sembra di veder vorticare queste scene, di esserne sollevati: la magia di questo luogo è innegabile, ma la prossima domenica vi stupirà almeno alla stessa maniera. Promesso.

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Come arrivare alla Chiesa di Santa Restituta

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La Chiesa di Santa Maria del Parto: pezzo di ciel caduto in terra

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Chiesa di Santa Maria del Parto

Chiesa di Santa Maria del Parto

“Pezzo di ciel caduto in terra”, la definiva Aspreno Galante. La Chiesa di Santa Maria del Parto splende come un rubino incastonato tra le rocce di Mergellina, meraviglioso tesoro di Napoli. Si affaccia ad un balcone posato su incantevoli paesaggi, che parrebbero quasi dipinti. Voltandoci ci sentiamo al centro dell’ area vesuviana: il quieto golfo di Castel dell’Ovo, il Vesuvio silenzioso e la gremita collina di Napoli si lasciano ammirare. Tutto si può osservare da questo luogo privilegiato, in cui la Chiesa di Santa Maria del Parto emerge seriosa, vestita di rosso e bianco, col suo fare neoclassicheggiante. Eppure nasconde, quasi sorridendo, un’antica leggenda d’amore profano, tramutatosi in sacro.

La facciata reca tre portali d’accesso: l’arco maggiore, che porta al vestibolo, è sopraelevato rispetto a quelli inferiori, al di sopra dei quali sono poste due epigrafi ed altrettanti tondi affrescati. Due i personaggi rappresentati: Federico d’Aragona e Jacopo Sannazaro. E’ qui che ha inizio la storia.

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Nel 1497 Federico I concesse al poeta il terreno sul quale oggi sorge la Chiesa di Santa Maria del Parto, oltre ad una cospicua rendita che ben presto gli permise di trasferirsi in un’ampia villa a Mergellina. Mentre scriveva la sua opera, il De partu Virginis, decise di cominciare la costruzione di un luogo sacro che ne recasse il nome: da qui la decisione di fondare la Chiesa di Santa Maria del Parto, successivamente donata ai Frati Serviti, i “servi di Maria”.

Secondo il progetto di Sannazaro, vi sarebbero state due chiese: una inferiore, dedicata alla Madonna del Parto, che avrebbe ospitato il presepe ligneo diGiovanni da Nola (oggi custodito nel vestibolo, in una piccola cappella a destra dell’ ingresso), in cui le donne in attesa o desiderose di una gravidanza si recavano a pregare l’effige della Vergine, ed una superiore dedicata ai santi Giacomo (Iacopo) e Nazario. La costruzione, iniziata 1504, portò già nel 1525 a terminare il cantiere sottostante: la costruzione della chiesa superiore, invece, fu interrotta da una cruenta epidemia di peste e completata dai Padri Serviti, che vi posero anche un monumento funebre dedicato a Sannazaro. Situato in un colombario, dietro l’altare maggiore, il monumento marmoreo opera di Giovanni Angelo Montorsoli suscitò non poche polemiche, a causa della presenza di elementi tipicamente pagani, come le rappresentazioni di Apollo e Minerva sulla base. Al di sopra, due putti incorniciano il busto del poeta.

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Un alone di mistero circonda l’architetto che realizzò il luogo sacro . A navata unica, con il soffitto privo di decorazione, la Chiesa di Santa Maria del Parto ha qualcosa di diverso rispetto alle chiese cui siamo abituati. Il pavimento bianco e nero, rifatto nel XX secolo, ha sostituito quello maiolicato originario che emerge ancora in una delle cappelle laterali.

pavimento s maria del parto

Quasi silenziosi, accompagnano lo sguardo bianchi fregi che sembrano nascere spontanei lungo la navata. Si dorano in alcuni punti, lasciando intravedere piccoli putti intervallati da temi della Passione ed allegorie.

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La navata termina in un’abside decorata con stucchi ed affreschi alla quale siamo introdotti da un sistema di archi: uno slanciato arco trionfale, stuccato in bianco e cassettonato, semplice nella sua eleganza, subito seguito da un arco più elaborato. Nella semisfera voltata a botte rivolta alla navata, sono raffigurate l’Annunciazione (negli spicchi frontali) e le Scene della Vita di Maria (in volta), tutte opera di Paolo Guido Borghese. Le raffigurò nel 1593, con una composizione leggera, fatta di luci soffuse e trasparenze che celano e svelano delicati segreti. L’arco termina in due nicchie che accolgono a sinistra la statua di San Jacopo, opera di Montorsoli, e a destra quella di San Nazario, opera di Ammannati.

mergellì

L’altare maggiore fu aggiunto nel XVIII secolo, opera di Pietro Nicolini e realizzato in marmo. E’ completato da una statua lignea, policroma, dellaMadonna con Bambino, realizzata dall’abile mano di Francesco Saverio Citarellinel 1865.

Si affacciano sulla navata sei cappelle, tre per lato: in una di queste vi è un segreto.

Un segreto che più o meno suona così: “sì bell comm o’ riavl ‘e Mergellìn“.

Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.

 

Orario: festivo 8,00 – 9,30 – 11,00 – 12,00 – 13,00 – 19,00.

 

Come arrivare alla Chiesa di Santa Maria del Parto

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Duomo di Napoli. Tra i veli del tempo: l’inchino di Apollo a Maria nella Cattedrale

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"Cathedral 2012" di ho visto nina volare - Flickr: Napoli 2012. Con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Cathedral_2012.jpg#mediaviewer/File:Cathedral_2012.jpg

In alcuni luoghi, a Napoli, si apre una finestra temporale. Essa cela, tra i veli delle sue tende, luoghi, realtà e misteri che lasciano affiorare un passato che ci ha condotti fino ad oggi.

Dicono che, tra i vicoli del Duomo, un ignoto personaggio si fermi di notte ad incidere messaggi dall’oscuro contenuto e che lo stesso Boccaccio, nelDecameron, abbia ripreso la leggenda del Perugino che si svolse nella Cattedrale. E proprio qui sono conservate le ampolle col sangue di San Gennaro.

Accolta in seno ad una piazza porticata, la Cattedrale – Duomo di Santa Maria Assunta sorge su un ex tempio pagano dedicato ad Apollo, nume tutelare diPartenope. Fu Aspreno, primo vescovo della colonia, ad inserdiarvi l’episcopato della città tra I e II secolo. A partire dal IV secolo l’area sacra fu ampliata con la costruzione di una Chiesa opera dello stesso Costantino. Successivamente furono realizzati la Basilica di Santa Restituta ed il più antico battistero cristiano noto, quello di San Giovanni in Fonte, realizzato in stile barocco ed ornato di marmi policromi. E infine una seconda basilica dedicata al Salvatore e detta Stefania dal nome del fondatore (il vescovo Stefano) a formare un sistema di basiliche doppie. Fu inglobata nella Cattedrale all’atto della sua costruzione, nel XIII secolo.

La Cattedrale che ci appare oggi, dunque, è molto differente da quella originaria. Immaginiamo di sbirciare tra i veli che vi si sono sovrapposti nel tempo.

"Naples duomo facade" di Velvet - Opera propria. Con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Naples_duomo_facade.jpg#mediaviewer/File:Naples_duomo_facade.jpg

La facciata fu ricostruita in stile gotico nel XV secolo, a seguito del terremoto che nel 1349 fece crollare la facciata angioina ed il campanile. Successivamente fu adeguata ai gusti del gotico settecentesco. Ed ancora un rifacimento tra fine Ottocento ed inizi Novecento. Chi direbbe mai che i lavori non furono terminati? Il progetto di Errico Alvino prevedeva, infatti, due torri campanarie delle quali furono realizzati solo i basamenti.

Eppure nulla manca alla sua pacata bellezza: con i tre portali cuspidati, col suo romantico rigore di linee neogotiche impreziosite da busti dei Santi vescovi e del Salvatore, è quasi un dolce invito ad entrare. E vale davvero la pena di lasciarsi convincere: i rifacimenti che nel tempo hanno svestito e rivestito la Cattedrale non hanno fatto altro che rendere al meglio le mille sfaccettature della sua anima. La controfacciata accoglie le sepolture di Carlo I d’Angiò, Carlo Martello d’ Ungheria e sua moglie, Clemenza d’ Asburgo, ivi collocate dall’ architettoDomenico Fontana nel 1599.

"Napoli BW 2013-05-16 11-37-23 DxO" di Berthold Werner - Opera propria. Con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Napoli_BW_2013-05-16_11-37-23_DxO.jpg#mediaviewer/File:Napoli_BW_2013-05-16_11-37-23_DxO.jpg

La croce latina a tre navate rispetta l’impianto originario. Sedici pilastri sorreggono archi ogivali decorati in stucco e marmo che suddividono lo spazio inglobando antichi pilastri della Stefania in granito.

Lo sguardo corre incuriosito ad osservare l’ampio soffitto cassettonato secentescoche sovrasta la navata centrale ed ospita i dipinti della Natività e l’Epifania, diFabrizio Santafede, la Visitazione e la Presentazione al Tempio, di Girolamo Imparato, e l’Annunciazione, di Giovanni Vincenzo da Forlì. Tutti grandi nomi italiani, tutti artisti in grado di interpretare magistralmente maestosità e devozione. Sulle pareti della navata, dipinti di Luca Giordano raffiguranoApostoli e Padri della Chiesa e i Santi patroni di Napoli. Sui sedici pilastri sono sistemate le edicole con i busti dei vescovi della città, scolpiti tra Seicento e Settecento.

"Interno Cattedrale di Napoli" di Baku - Opera propria. Con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Interno_Cattedrale_di_Napoli.jpg#mediaviewer/File:Interno_Cattedrale_di_Napoli.jpg

Accanto al transetto, due cantorie lignee barocche ospitano l’organo e il pulpito barocco attribuito ad Antonio Caccavello (a destra) e il baldacchino gotico dellacattedra episcopale trecentesca, in parte danneggiato nel XVII secolo con la costruzione della soprastante cantoria (a sinistra).

"Napoli BW 2013-05-16 11-30-48 DxO" di Berthold Werner - Opera propria. Con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Napoli_BW_2013-05-16_11-30-48_DxO.jpg#mediaviewer/File:Napoli_BW_2013-05-16_11-30-48_DxO.jpg

Come le varie zone di questa meravigliosa Cattedrale – Duomo, anche l’area del transetto ha subito rivisitazioni, ampliamenti, e ne custodisce splendide testimonianze. Ma le parole non rendono al meglio la meraviglia che l’occhio percepisce: per cercare di farlo esploreremo i cuori pulsanti di questo magico luogo un poco per volta, passeggiando assieme.

Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.

Foto in copertina: “Cathedral 2012″ di Ho visto nina volare – Flickr – licenza Creative Commons Attribution

 

Indirizzo: Via Duomo, 147 – 80138 Napoli (NA)
Orari: Lun-Sab: 8.00 – 12.30 e 16.30 – 19.00;Dom 8.00 – 13.30 e 17.00 – 19.30

 

Come arrivare al Duomo di Napoli

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Arte è miracolo. La Real Cappella del Tesoro di San Gennaro

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Cappella San Gennaro

Rieccoci qui: la Cattedrale – Duomo di Napoli oggi ci accoglierà nella Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro.

Effettivamente, in un luogo tanto importante per Napoli non poteva certo mancare un posto d’onore per il Santo. Ancora una sovrapposizione di veli temporali accompagna la sua presenza nella Cattedrale: in origine la Cappelladedicata a San Gennaro si trovava a sinistra dell’ ingresso, in una torre. Avvicinandoci per carpire i segreti e le evoluzioni del luogo, ci sembra che un sospiro di vento ci racconti la sua versione dei fatti, muovendo quei veli.

La città di Napoli ricorda vari momenti difficili, nella sua storia. Fanno parte del suo territorio e del suo popolo e l’ hanno plasmata, dandole la capacità di suscitare grandi emozioni, di rivivere il passato in ogni momento. E talvolta le sofferenze di un popolo si sono trasformate in splendide opere d’arte: la Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro è una di queste. Nel 1527 Napoli fu cinta d’assedio dai francesi. Furono bloccati i rifornimenti di cibo ed avvelenate le acque, il che provocò un forte peggioramento dell’epidemia di peste già da tempo in atto. Negli stessi anni un’eruzione del Vesuvio ed i terremoti annessi alla sua attività la flagellarono ulteriormente. Pile di morti erano accatastate ai lati delle strade, la città era stata colpita da cenere e lapilli che rendevano l’aria irrespirabile ed ovunque intere famiglie erano state distrutte dal crollo delle proprie abitazioni.

Preghiera a san gennaro

Uno scenario apocalittico, che spinse la popolazione a chiedere aiuto al proprio patrono. In cambio del suo intervento, una promessa. Il 13 gennaio del 1527 fu firmato un atto notarile, proprio sull’ altare maggiore della Cattedrale – Duomo, in cui gli eletti di città si impegnavano a dedicare a San Gennaro una Cappella più ampia, più bella e che desse al Santo il giusto risalto.

La Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro nacque così, da una promessa, da una richiesta d’aiuto. E restò un patto d’amore tra San Gennaro ed i suoi figli. La laicità del luogo è stata ribadita, infatti, da varie bolle pontificie e dalla Repubblica Italiana.

I lavori furono avviati nel 1608 e terminarono nel 1637 su direzione dell’ architetto Francesco Grimaldi, che lavorò ad altre fabbriche ecclesiastiche di Napoli. Il luogo in cui sorge oggi la Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro – immediatamente adiacente alla navata destra, ed in posizione simmetrica e contrapposta alla Basilica di Santa Restituta – era destinato a vari usi: vi sorgevano un piccolo oratorio, una chiesetta dedicata al Santo Andrea, alcune cappelle private e delle abitazioni civili.

cappella san gennaro

La Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro fu realizzata in uno stile baroccotipicamente napoletano, caratterizzato dall’ esuberanza decorativa delle strutture portanti, tra marmi e stucchi dorati. Il prospetto della Cappella si affaccia sulla navata destra del Duomo: l’arco centrale ospita lo straordinario cancello in ottone e bronzo di Cosimo Fanzago, pregevole scultore ed architetto italiano. Nelle duearcate laterali minori, le sculture di San Pietro e San Paolo, opera dello scultore carrarese Giuliano Finelli.

La pianta a croce greca, con i bracci corti, esalta l’imponenza e la profondità dellacupola. A ciò concorrono anche i quattro pilastri angolari, tagliati in diagonale come accade a San Pietro in Vaticano. Sul lato obliquo dei piloni, lesene con capitelli corinzi sorreggono i quattro pennacchi trapezoidali sui quali si imposta il tamburo e la cupola a doppia calotta, che spicca nel panorama della città per la sua elegante grandiosità, quasi un silenzioso richiamo per i suoi figli. Le finestre del tamburo sono sormontate da timpani tondi e triangolari alternati e intervallate da coppie di volute e semilesene corinzie. Un ulteriore doppio ordine di finestre illumina l’estradosso della cupola, lasciandola traboccare di luce all’ interno, esaltando così le decorazioni del luogo che custodisce le reliquie del Santo più amato di Napoli.

duomo di Napoli, navata centrale

Ma il cuore della Cappella del Reale Tesoro di San Gennaro nasconde ancora un grande, immenso tesoro, che si svelerà a noi in tutto il suo splendore nella nostra prossima passeggiata napoletana tra il passato e l’eternità.

Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.

Fotografie di Francesca Perna

 

Indirizzo: Via Duomo, 147 – 80138 Napoli (NA)
Orari: Lun-Sab: 8.00 – 12.30 e 16.30 – 19.00;Dom 8.00 – 13.30 e 17.00 – 19.30

 

Come arrivare al Duomo di Napoli

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Gran finale al Duomo: la Basilica di Santa Restituta

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Ingresso Santa Restituta

Prima di lasciare la Cattedrale – Duomo di Napoli, c’è un altro splendido luogo da visitare. Ha sapore di altre terre, ed è dedicato ad una Santa che viene da lontano:La Basilica di Santa Restituta. Accessibile dalla navata sinistra del Duomo, fu edificata nel IV secolo per volere di Costantino. Rappresenta la più antica basilica paleocristiana di Napoli. Non conosciamo l’intitolazione iniziale: dedicata probabilmente ai Santi Apostoli o al Salvatore, successivamente prese il nome attuale in memoria della vergine e martire africana, Restituta. Le sue reliquie giunsero in Campania a seguito della persecuzione vandalo ariana iniziata da Genserico nel 429, portate dagli esuli che furono accolti e protetti dalla comunità cristiana di Napoli, fondando una cristianità mista documentata in alcuni ritratti della Catacomba di San Gennaro (i defunti Proculus e Marta sono di chiara derivazione africana ed entrambi mostrano una perfetta integrazione nella comunità neapolitana).

Inglobata nella fabbrica della Cattedrale – Duomo, la Basilica di Santa Restituta è stata concepita nelle forme del suo tempo per essere poi ampiamente modificata: è ipotizzabile che vi fossero cinque ingressi, uno per ogni navata; i più estremi vennero murati prima dei lavori di consolidamento successivi al terremoto del 1456. Nello stesso anno, le due navate estreme furono adibite alla funzione di cappelle. Ulteriori lavori di consolidamento furono realizzati nel 1742 dal cardinale arcivescovo Giuseppe Spinelli, che fece murare altri due ingressi laterali.

All’ interno, una sensazione di spazio aperto e luminoso nonostante l’esuberante stile barocco in cui la Basilica fu riplasmata nel Seicento. Sorreggono le sette arcate ogivali per lato, colonne in cipollazzo e granito con capitelli corinzi molto vari per disegno e misura. La manifattura dei pulvini è più grossolana, non è da escludere che si tratti di elementi di spoglio provenienti da quel tempio di Apollo sulle cui rovine sorse la Basilica di Santa Restituta. Ci accompagnano lungo la navata diciotto tondi di Francesco De Mura, raffiguranti Gesù Cristo, la Madonnae alcuni Santi; furono donati dal canonico Fortunato Mauro nel 1734. Tra i finestroni, sedici tele commissionate a Santolo Cirillo dal canonico Gennaro Maiello.

La Basilica di Santa Restituta venne restaurata agli inizi del XVII secolo dall’architetto Arcangelo Guglielmelli. Come per la Real Cappella del tesoro di San Gennaro, anche qui il soffitto è adorno di uno splendido affresco di Luca Giordano: grande è il pathos trasmesso dalla scena, in cui il corpo esanime della Santa viene trasportato in barca dagli angeli verso l’isola di Ischia.

Pavimento lapidi Santa Restituta

Il pavimento è costellato di numerose lapidi sepolcrali di varie epoche. Al centro si apre la sepoltura dei canonici della Cattedrale, riprodotti in abiti corali in un bassorilievo marmoreo del 1475. Anche sulle pareti vicine all’ingresso, numerose sepolture e monumenti funebri di uomini illustri. Guardando dinanzi a noi, sulla parete di fondo della navata centrale spicca un maestoso drappeggio in stucco, tanto dettagliato che ci si aspetterebbe quasi di vederlo smosso dall’ aria: è opera dell’ artista Arcangelo Guglielmelli, che lo realizzò con l’aiuto del Ghetti e di Lorenzo Vaccaro che vi eseguì, tra l’altro, il dipinto Gloria del Salvatore. L’ abside venne ribassata rispetto alla navata centrale: nel catino absidale un affresco duecentesco reca al centro Cristo in trono.  Nel cinquecento venne realizzata la pala d’altare Madonna in trono fra i santi Michele e Restituta.

Fra le cappelle laterali, splendida è la Cappella della Madonna del Principio, collocata in fondo alla navata di sinistra. Nell’abside, un mosaico realizzato nel1322 da Lello da Orvieto: Madonna in trono col Bambino fra i Santi Gennaro e Restituta; al centro della cappella, un altare barocco.

Santa Restituta, abiti sacri

E’ sempre bello accarezzare la storia di un edificio di culto, è splendido immaginarlo respirare e seguirne l’evoluzione. Perchè dà l’impressione di essere in una macchina del tempo e di poter viaggiare nelle epoche e nei gusti architettonici, e nelle preghiere e nei sospiri che vi si deposero a formare una patina di emozione. Sono presenti in questo luogo, che oggi ha il nome di Basilica di Santa Restituta, tanti ricordi di un passato lontano: dal primo battistero di Occidente, quello di San Giovanni in Fonte, agli scavi archeologici.

Questa domenica la Basilica di Santa Restituta ci lascia, quindi, con la promessa di un tuffo nel passato.

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Fotografie di Francesca Perna

Indirizzo: Via Duomo, 147 – 80138 Napoli (NA)
Orari: Lun-Sab: 8.00 – 12.30 e 16.30 – 19.00;Dom 8.00 – 13.30 e 17.00 – 19.30

 

Come arrivare al Duomo di Napoli

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Divine melodie a Napoli: la Chiesa del Gesù Nuovo

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Facciata chiesa Gesù nuovo

La Chiesa del Gesù Nuovo rappresenta uno dei volti emblematici di Napoli: il mistero.
La sua storia comincia nel 1470, quando il Novello ultimò la costruzione del palazzo. Si, perchè quella che oggi è una splendida Chiesa, solo ieri era un meraviglioso palazzo privato.

La famiglia proprietaria, i Sanseverino, ne era molto orgogliosa: ricca di sale ornate di dipinti, con un giardino da fare invidia alle più belle ville del mondo, il palazzo fu utilizzato come circolo letterario e culturale. Le cronache del Cinquecento ricordano il passaggio del re Carlo V, per il quale si tenne qui una maestosa festa. Ovunque la gente vociferava di questa splendida villa, e chi non aveva potuto vederla, sognava un giorno di poter entrare ad ammirarla. Le leggende intanto si andavano moltiplicando, ma una sola aveva fondamento. Si narrava infatti che Roberto Sanseverino avesse voluto servirsi, in fase di costruzione, di maestri pipernieri molto “particolari”. Erano infatti a conoscenza di segreti esoterici, e venne affidato loro l’incarico di arricchire la splendida pietra bugnata di segni positivi, che avrebbero dato fortuna e benessere al luogo ed ai suoi abitanti. Questi segni avrebbero dovuto convogliare tutte le forze benevole dall’esterno verso l’interno del palazzo, lasciando fuori sventure e miserie.

Col passare del tempo, tali e tante furono le sciagure che si abbatterono sul luogo che si pensò che, per incapacità o malizia dei costruttori, le pietre fossero state assemblate male ed attirassero, invece di scacciarli, malanni e negatività.

Chiesa del Gesù Nuovo giorno

Distruzioni, incendi e crolli si successero nel tempo, e nemmeno la consacrazione a Chiesa del Gesù Nuovo potè fermare questi rovinosi eventi. Qualcuno si interrogava circa quei segni, poi impaurito decideva di lasciare che fosse il luogo a custodirne il segreto. Ma come spesso accade, ciò che non conosciamo suscita paure infondate. La Chiesa del Gesù Nuovo non ha mai fatto sortilegi. Non ha gioito nel distruggersi più volte per rinascere a nuova vita… nuova, come dice il suo nome, che la distingue dalla vecchia Chiesa del Gesù. Non ha urlato con nere voci, attirando sventure.

Erano note. Erano musica i suoi sussurri, era poesia ciò che cercava di comunicare.
Ha cercato di spiegare l’incomprensione, forse, ed ha mostrato il suo vero volto durante la seconda guerra mondiale: la bomba caduta in piena navata centrale non è esplosa, ed è oggi parte integrante della Chiesa del Gesù Nuovo.
Guardata con timore e sospetto per tanti secoli, forse il dolore l’ha fatta crollare, forse la forza, la voglia di spandere un messaggio l’ha riportata in vita.
Le sue campane cantano ai fedeli ciò che la facciata ha svelato nel 2010, dopo tanti secoli.

Vincenzo De Pasquale, storico dell’ arte, è riuscito a decifrare assieme ai musicologi ungheresi Csar Dors e Lòrànt Réz queste note, permettendo alla Chiesa del Gesù Nuovo di spandere nell’aria il suo messaggio di fede, fino ad allora muto. Una melodia dolce, una specie di carillon in aramaico, il greco antico parlato da Gesù.
Non segni negativi, nè positivi; non lettere, ma note decorano la facciata della Chiesa del Gesù Nuovo. Un concerto della durata di tre quarti d’ ora, cui è stato dato il nome di “Enigma“.

Chiesa del Gesù nuovo, sera

La facciata della Chiesa del Gesù Nuovo è rimasta esattamente quella del palazzoSanseverino, come il portale marmoreo, risalente agli inizi del XIV secolo. Fu modificato nel 1685 dai Gesuiti, venuti in possesso dell’edificio: furono aggiunte due colonne laterali, e nel frontone venne inserito uno scudo in onore della principessa Isabella della Rovere. Sull’architrave, un fregio con cinque testine che sorreggono festoni di frutta.

L’interno è barocco: un barocco semplice nella sua ricchezza, fatto di decorazioni simmetriche e slanci di colore perfettamente fusi gli uni negli altri. La croce greca con braccio longitudinale lievemente allungato presenta una ricca decorazione marmorea realizzata dal Fanzago nel 1630. Decorano le controfacciate  affreschi di Francesco Solimena (navata centrale) e della sua scuola (laterali), mentre le volte a botte sono dipinte da Belisario Corenzio e da Paolo De Matteis.

L’atmosfera è pacata e ricca di luce che giocando tra gli ori ed i marmi infonde un senso di calore. Guardando in qualsiasi direzione è il senso di pace a colpire, quasi a voler mantenere un dolce silenzio dopo la melodia che accoglie all’esterno.

Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.

Orari: tutti i giorni, 7.30 – 18.30

 

Come arrivare alla Chiesa del Gesù Nuovo

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Video: la Basilica di San Giovanni Maggiore restituita a Napoli

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www.sangiovannimaggiore.net

Le memorie del passato di Napoli rivivono nella Basilica di San Giovanni Maggiore. Il volto antico della città è sicuramente uno dei più affascinanti che si possa ricostruire.

Dopo l’editto di Milano (opera di Costantino, nel 313, e che era stato preceduto dall’editto di Galerio del 311) e soprattutto quello di Tessalonica (emanato da Teodosio nel 380), non solo il Cristianesimo fu consentito, ma divenne la religione ufficiale dell’ impero. Fu, il IV secolo, quello delle Chiese. Abbandonate le antiche domus ecclesiae (case private adibite a centri di culto per i fedeli), il silenzio a cui i cristiani erano stati condannati fino ad allora fu spezzato: cominciò la costruzione di spazi ampi e splendidamente decorati, atti a celebrare la grandezza della nuova religione. Ma ovunque ci si voltasse, maestosi templi fiorivano tra le abitazioni, e molte divinità pagane mantenevano ancora un proprio posto nella vita cittadina. Molti di questi spazi preesistenti furono riconvertiti al culto cristiano. Accadde così per la Basilica di San Giovanni Maggiore.

L’edificio preesistente era con molta probabilità dedicato ad Antinoo, il giovane greco amato dall’ imperatore Adriano. Morto in circostanze misteriose, dopo la sua dipartita Adriano decise di divinizzarlo. Su questo luogo, Costantino volle fondare la Basilica di San Giovanni Maggiore.

Lo fece per amore della figlia Costanza, scampata ad un naufragio al largo di Trapani. Fu così che nel 324 cominciò la costruzione della Basilica di San Giovanni Maggiore.

Già nel VI secolo si registrano tali e tanti cambiamenti da inserire la Basilica di San Giovanni Maggiore tra le quattro maggiori Chiese di Napoli. Un esempio dello splendido volto che la Basilica doveva avere all’epoca è dato dall’abside paleocristiano, semicircolare, che è stato inglobato e preservato dalle successive trasformazioni del luogo.

Wikipedia.com

Stando all’epoca della sua creazione, la Basilica di San Giovanni Maggiore doveva essere ricca di mosaici, affreschi e cupole, secondo il gusto bizantineggiante dell’ epoca. Ma con i rimaneggiamenti normanni prima ed angioini poi nulla dovette resistere di tutto ciò. Furono allargate le navate ed anche il transetto fu ampiamente modificato.
Passava il tempo, scorrevano i secoli, e la Basilica di San Giovanni Maggiore restava lì, muta sotto il cielo di Napoli. Nulla sembrava poterla abbattere. Nemmeno il terremoto del 1635, che invece regalò al luogo un nuovo sguardo. Autore dei cospicui restauri fu Dioniso Lazzari.

Ma i lavori non erano finiti. La basilica fu arricchita di elementi barocchi che furono più e più volte cancellati assieme ai resti dell’ antica basilica di IV secolo.
Altri terremoti e crolli portarono a rimaneggiamenti della struttura: la Basilica di San Giovanni Maggiore acquisì questa volta un nuovo sguardo dall’ eleganza neoclassica e ancora resistette.

Si propose, addirittura, di abbatterla. In città servivano nuovi parcheggi. Ma questa soluzione non era contemplata, la basilica non avrebbe lasciato il suo posto. Fino all’ ultimo, rovinoso terremoto del 1870 ed al cedimento della volta, un secolo dopo.

La Basilica di San Giovanni Maggiore fu chiusa: sembrava ormai storia vecchia, pareva che mai sarebbe tornata ai suoi fedeli. Muta per più di quarant’anni, subì spogli ripetuti senza potersi rialzare. Ma continuavano, intanto, i restauri. E restituivano la voce, piano piano, al luogo.

Emergevano le tonde vocali, le spigolose consonanti, nei ritrovamenti dell’ abside e dei suoi mille tesori.
Reliquie ed ex voto risalenti ai tempi di Costantino mantenevano vivo il cuore della basilica.

www.comune.napoli.it

Nel 2012 i lavori di restauro sono terminati e La Basilica di San Giovanni Maggiore è stata restituita alla sua comunità. Ancora più bella, ancora più forte. Ed avendo ritrovato la sua voce, essa non è più “solo” una Chiesa. E’ divenuto un luogo di aggregazione, di cultura, dedicato a chi vuole condividere, a chi sa ascoltare. A testimonianza che l’anima, anche quella dei luoghi, non muore mai.

Orari di apertura: Lun – ven:  10.00 – 17.00 Sabato:  10.00 – 18.00 Domenica: 10.00 – 13.00

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Come arrivare alla Chiesa di San Giovanni Maggiore

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La Chiesa di Santa Maria di Donnaregina Vecchia si racconta

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Donnaregina Vecchia, chiesa

La Chiesa di Santa Maria di Donnaregina Vecchia mormora, ancora oggi, antiche leggende.
Sparge sospiri nei vicoli ombrosi che l’attorniano e narra una storia che ha il suo stesso nome. Sembra un’antica favola, che comincia con tre sorelle: Donna Regina, Donna Albina e Donna Romita. Primogenita del barone Toraldo e dunque maggiore delle tre sorelle, Donna Regina ottenne dal Re Roberto d’Angiò la possibilità di tramandare il nome di suo padre che, essendo privo di eredi maschi, temeva l’estinzione della casata. Di animo austero ed incline alla preghiera, raccontano che la sua fosse una bellezza fuori dal comune. E poichè Donna Regina era in età da marito, dopo la morte del padre Re Roberto la destinò al cavaliere Don Filippo Capece. Ma la giovane non si sposò mai. Sfortuna volle che anche le due sorelle si innamorassero a loro volta di Don Filippo, ed infine tutte decisero di rinunciare all’amore e chiudersi in convento.

La stessa Donna Regina aveva infatti fondato un nuovo ordine monacale.

Donnaregina Vecchia, inferiore

La Chiesa di Donnaregina Vecchia mostra, in effetti, varie preesistenze. Il complesso originario sorgeva su un’insula greco – romana (si tratta di un vero e proprio palazzo, alto svariati piani; ne sopravvivono esempi, tra gli altri, presso Ostia antica). Una prima forma monastica è nota dal finire dell’ VIII secolo col nome di “Convento di San Pietro del Monte di Donna Regina”.

Vari furono gli ordini che nel tempo si successero, fino a che la struttura fu riutilizzata come prigione e tale rimase sino al terremoto del 1293. Fu allora che la Regina Maria d’Ungheria, moglie di Carlo II d’Angiò, decise di ricostruire la Chiesa conservando il culto per Maria ed il nome di Donna Regina. La Chiesa fu consacrata nel 1320.

Le forme architettoniche originarie sono riemerse con i recenti restauri. La struttura, di matrice gotica, presenta un’unica navata terminante in un’abside poligonale pavimentata con uno splendido esempio di cotto maiolicato di XIV secolo. Pilastrini ottagonali sorreggono volte a crociera, suddividendo idealmente lo spazio in tre navate illuminate da piccole finestre.

Donnaregina Vecchia, superiore

Su questa struttura, in posizione sopraelevata, si trova il Coro delle Monache, illuminato da finestre monofore dalla forma allungata, tipiche del periodo architettonico gotico. La Chiesa vanta un’invidiabile serie di cicli pittorici degli inizi del XIV secolo. Lo stesso Coro è ricco di dipinti dalle chiare reminiscenze giottesche: Le Storie della Vita di Cristo e le Scene della Passione, morte e risurrezione. Di difficile attribuzione, le opere sono state associate ai nomi diPietro Cavallini o Filippo Rusuti, entrambi pregevoli esponenti della scuola romana della fine del XIII secolo.

Tutta l’area del coro è ricca di cicli pittorici disposti su due registri: nel registro inferiore, Scene della vita di Santa Elisabetta e di Santa Caterina ed in quello superiore Scene della vita di Sant’Agnese. Sulla parete di fondo del coro, unGiudizio Universale attribuito a Pietro Cavallini ed una serie di Santi e Profeti derivanti verosimilmente dalla sua Scuola.

Il soffitto cassettonato accoglie la rappresentazione della Incoronazione della Vergine, rilievo cinquecentesco di Pietro Belverte, uno dei maggiori maestri intagliatori dell’epoca. La cappella Loffredo, a pianta rettangolare e volta a crociera, conserva gli affreschi dell’Annunciazione (sulla parete di fondo) e della Crocifissione (a sinistra) anch’essi di dubbia datazione ed attribuzione, anch’essi fondenti elementi bizantini ed ispirazione giottesca.

Chiesa Donnaregina Vecchia

Alla morte della Regina Maria, nel 1323, i frati ne tumularono il corpo nelmonumento sepolcrale di Maria d’Ungheria, eseguito da Tino di Camaino ed abilmente decorato con un mosaico a tessere azzurre.

Non termina qui, però, la storia di questa splendida Chiesa: chiusa a lungo, mentre veniva costruita la nuova Chiesa (quella di Santa Maria di Donnaregina Nuova), non fu mai dimenticata. Sebbene nel 1860 il convento fosse stato soppresso e le monache trasferite nel monastero di Santa Chiara, il Comune di Napoli decise di acquistarla e restaurarla per restituirla, infine, ai suoi fedeli nel 1934.

Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.

Fotografie di Francesca Perna

Indirizzo: Via Settembrini – Napoli
Orario di apertura: Lun – Merc– Giov – Ven 10:00 – 21:00
Sab – Dom 10:00 – 24:00

Come arrivare alla Chiesa di Santa Maria di Donnaregina Vecchia

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La Chiesa di Santa Maria di Donnaregina Nuova: la storia continua

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donna regina nuova - museo

Conosciamo bene, ormai, la storia di Donna Regina: abbiamo scoperto assieme la nascita della Chiesa che porta il suo nome. Ma il legame di questa giovane, forte donna con la sua fede ed il suo territorio è ulteriormente ribadito dalla costruzione, nel Seicento, di un’altra Chiesa, quella di Santa Maria di Donnaregina Nuova.

Sede dal 2007 del Museo Diocesano di Napoli, la chiesa fu eretta nel 1617 su disegno di Giovan Giacomo di Conforto per volontà delle monache di Santa Maria di Donnaregina. La Chiesa di Santa Maria di Donnaregina Vecchia era stata danneggiata dal tempo e dai terremoti che l’avevano resa inagibile. La chiesa Nuova fu dapprima collegata con l’abside dell’ edificio precedente e da esso resa indipendente con il restauro del 1928-1934 ad opera di Gino Chierici, noto architetto e restauratore del tempo.

Donnaregina nuova facciata esterna

Il nuovo edificio venne realizzato su una maestosa scalinata in piperno e marmo, che  sovrasta l’omonimo Largo. Tutto è regale, nella nuova chiesa, tutto sembra voler testimoniare la vera bellezza nella vera fede. Ne parla la facciata, nella sua equilibrata eppure briosa ricerca di eleganza, scandita da due ordini di lesene con capitelli corinzi.

In due nicchie del primo livello, le sculture dei Santi Bartolomeo e Andreaincorniciano un portale marmoreo di Bernardino Landini – grande marmoraro e decoratore del 600 – aggiunto successivamente. Al secondo livello, finestre inserite in cornici di marmo. Conclude la facciata il timpano traforato che lascia intravedere il cielo. Una cornice perfetta per l’occhio ed il cuore, che presto saranno condotti all’interno di questo luogo di culto in cui il fedele è coccolato da decorazioni in marmi policromi, stucchi, ori e dipinti. Esse sembrano fiorire spontanee lungo l’unica navata, tanto ariosa e luminosa da trasmettere un senso di pace e libertà, seppure tra arditi slanci barocchi.

Donnaregina nuova interno - superiore

Circondano la navata sei cappelle con dipinti e decorazioni marmoree di Antonio Guastaferro, Tommaso Fasano, Gaetano Sacco e Francesco Solimena: tutti grandi nomi del barocco italiano tra Seicento e Settecento. Le cappelle sono separate da piloni che accolgono, in nicchie poco profonde, statue votive.

Basta sollevare lo sguardo per sentirsi quasi sopraffatti dalla bellezza: la volta, decorata con affreschi di Francesco de Benedictis nel 1654, è viva nelle decorazioni, nei riquadri in stucco dorato che incorniciano la Gloria della Vergine e dei Santi Francescani.

CHIESA DONNAREGINA NUOVA altare

Silenziosamente si è guidati verso il fulcro dell’edificio: l’altare maggiore. In breccia di Sicilia, decorato da fregi di color verde antico, fu realizzato daGiovanni Raguzzino e Giovanni di Filippo su disegno del Solimena. Alle spalle dell’altare un polittico (un’ opera sacra costituita da pannelli indipendenti racchiusi da una cornice) risalente al XVI secolo e raffigurante la Morte, l’Assunzione e l’Incoronazione della Vergine e alcuni Santi. La parete absidale, opera del Solimena, ospita la raffigurazione di San Francesco che offre le rose al Padre Eterno. Lateralmente all’ altare, infine, due tele di Luca Giordano: Le Nozze di Cana e Il Discorso della Montagna.

Chiesa di Donnaregina Nuova

Dipinti suggestivi, illuminati dalla luce proveniente dalle grandi finestre della cupola sovrastante l’altare.
Realizzata nel 1655, essa accoglie l’ultimo ciclo di affreschi di Agostino Beltrano. Vi  è raffigurato il Paradiso; nei lunettoni laterali sono rappresentati Cristo e la Maddalena, San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista. Nella zona inferiore, figure allegoriche.

A destra della navata centrale si accede alla Sagrestia: preceduta da una sala con stucchi e affreschi di Santolo Cirillo, presenta dipinti di Massimo Stanzione e diCharles Mellin, tra cui due nature morte. A sinistra si accede alla Sala del Comunichino in cui, prima del restauro del 1928, era conservato il corpo di Maria d’Ungheria, deposto nel sepolcro realizzato da Tino da Camaino. Anche in questa sala, affreschi di Santolo Cirillo esaltati da decorazioni in marmo, specchi e porte.

Il coretto - Chiesa Donnaregina nuova

Da qui, attraverso una scala, è possibile raggiungere il Coro delle monache, decorato con un ciclo di dipinti realizzati da Francesco Solimena che raffiguranoStorie Francescane e Santi.
E così, tra i giochi di luce degli ori e la plastica fermezza del marmo, sembra che il cuore trovi la via verso il cielo.

Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.

Indirizzo: Largo Donnaregina, 23 Napoli
Orario di apertura: Lunedi a Sabato 9,30-19,00; Domenica 9,30-14,00

 

Come arrivare alla Chiesa di Santa Maria di Donnaregina Nuova

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La Chiesa di Santa Maria del Pianto: tra vita e morte

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A Napoli, si sa, il legame tra vita e morte si tinge di colori ed usanze particolari. In alcuni luoghi queste due componenti si fondono fino a diventare inscindibili.

C’è un posto, nella Napoli sotterranea, da cui derivano parti della città: situata a 42 metri di profondità sotto la collina cimiteriale di Santa Maria del Pianto, c’è una cava tufacea. Da essa i Greci, nel IV secolo a.C., ritagliavano il tufo da utilizzare per costruire le mura che avrebbero protetto la colonia di Neapolis.

I segni della loro presenza sono ancora lì sotto: una miriade di graffiti, alcuni dei quali sono semplici segni per il distacco del tufo, altri invece di pregevole bellezza, altri ancora – successivi – rappresentano dei monogrammi cristiani che la arricchiscono in senso devozionale, lasciando intravedere l’evoluzione della storia e del culto illustrata sulle pareti della cava.

Al di sopra di questa piccola galleria “a groviera” si trovano il cimitero e laChiesa di Santa Maria del Pianto.

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Nel 1656 una violenta pestilenza flagellava Napoli. I decessi erano molto elevati, addirittura raggiungevano punte di 1.000 al giorno. Era necessario contenere l’epidemia e dare degna sepoltura ai defunti fuori dalla cinta muraria della città. L’area di Poggioreale, di 28.000 metri quadrati, sembrava il luogo adatto. Ancora in tempi recenti, il cimitero ha ospitato delle sepolture di chi, come Totò, la sua Napoli l’ha fatta conoscere a tutti, l’ha portata nel mondo.

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Nell’area cimiteriale venne edificata anche la Chiesa di Santa Maria del Pianto, in cui i fedeli avrebbero potuto pregare per le anime degli amati scomparsi e mantenere un legame con loro, in quel luogo di pace lontano dalla frenetica vita quotidiana.

La struttura a croce greca, dall’esterno baroccheggiante, fu edificata alla fine del Seicento. La facciata è costituita da un avancorpo inquadrato da due coppie di pilastri che sorreggono il frontone alla sommità; al centro, il monumentale portone è sovrastato da un finestrone rettangolare. Ai lati, due torri campanarie speculari si innalzano sulla copertura dell’edificio, slanciando il complesso verso l’alto.

Wikipedia "Chiesa Pogg" di Baku - Opera propria.

All’interno, la Chiesa di Santa Maria del Pianto ospitava opere di Andrea Vaccaroe di “Luca Fapresto”, soprannome che fu dato a Luca Giordano proprio in questa sede poichè dipinse le tele della crociera, preso da furore artistico, in soli due giorni.

Tali pregevoli opere, tuttavia, oggi non sono più nella Chiesa di Santa Maria del Pianto. Quelle di Giordano sono conservate presso la Pinacoteca di Capodimonte, mentre quelle di Vaccaro nell’ “Appartamento Storico” del Palazzo Reale di Napoli.

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Le tele sono state traslate dalla Chiesa di Santa Maria del Pianto a causa del cattivo stato di conservazione in cui versava: nel 2010, infatti, già il cimitero aveva cominciato a dare segni di cedimento causati dalla sottostante cava e dai vuoti di materiale in essa presenti.

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Nel 2012, poco prima del Santo Natale, anche la Chiesa di Santa Maria del Pianto ha cominciato a dare segni di cedimento, soprattutto nell’area della cupola.

Per questo motivo è stata chiusa al pubblico ed ancora oggi si erge silenziosa nel cimitero, mentre invecchia sotto gli occhi di tutti. La sua facciata si è ingrigita, riempiendosi di piccole e grandi crepe che le solcano il bel volto come rughe, mentre attende che quegli interventi di restauro, già finanziati, siano avviati ed accorrano in suo aiuto, restituendole dignità.

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Intanto resiste tra noi, ancora non si arrende: la Chiesa di Santa Maria del Pianto viene talvolta aperta, in occasioni particolari che i suoi fedeli aspettano con devozione per poterne respirare ancora l’anima, per potersi ancora dolere delle proprie perdite e sentirsi tutti un pò più vicini. In un luogo, questo, importante proprio per la sua funzione consolatrice, che speriamo sia presto restituito ai suoi devoti.

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Come arrivare alla Chiesa di Santa Maria del Pianto

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Napoli e il canto della Chiesa del Gesù Nuovo

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La Chiesa del Gesù Nuovo: luogo di nuove, inaspettate melodie. Un posto considerato malevolo per tanto tempo, eppure così ricco di armonica bellezza. Latribuna della Chiesa del Gesù Nuovo è ricca di colore, ma mantiene la sua compostezza: equilibri di geometrie e colori, tra pannelli marmorei, dipinti e sculture la rendono splendidamente elegante. Affrescata da Massimo Stanzione,contiene nel transetto varie opere del Seicento.

"TransettosinistroGesùNuovoNaples" di IlSistemone - Opera propria.

Sul lato sinistro opere pittoriche di Jusepe de Ribera, Gloria di sant’Ignazio e Papa Paolo III approva la regola di sant’Ignazio. Sembrano vive le splendide sculture diCosimo Fanzago, il David e Geremia laterali all’altare. Concludono la splendida decorazione di questo lato, cicli di affreschi di Paolo De Matteis e Belisario Corenzio. Tutti artisti in grado di rappresentare le tematiche religiose con forza, nei vari colori morbidi di sfumature, nelle espressioni dei protagonisti e gli scorci che li circondano.

"TransettodestroGesùNuovoNaples" di IlSistemone - Opera propria.

Sul lato destro tele di Luca Giordano: San Francesco Saverio trova il Crocifisso in mare, Il Santo caricato dalle croci ed Il Santo che battezza gli indiani, tutte della fine del Seicento; un dipinto del Santafede ed ancora cicli di affreschi delCorenzio e del De Matteis. Fu il Fanzago ad eseguire le due sculture ai lati dell’altare. Raffigurano Sant’Ambrogio e Sant’Agostino, e sono entrambe databili al 1621.Una porta d’accesso alle antiche stanze private di Giuseppe Moscati. Il passato è ricordato da alcuni manoscritti del santo, qui esposti, sue fotografie storiche ed alcuni rosari.

L’abside della Chiesa del Gesù Nuovo brulica di ricchezza: realizzata tra  il XVIIed il XVIII secolo dal Fanzago e terminata da Domenico Antonio Vaccaro e dalla sua scuola; altre sculture sono di Matteo Bottiglieri e Francesco Pagano. Alle pareti, splendidi marmi policromi. L’altare maggiore è un’opera eseguita molto più tardi dal gesuita Giuseppe Grossi.

"Cupola Gesù" di Baku - Opera propria

La cupola, ricostruita da Ignazio di Nardo e consolidata da una struttura in calcestruzzo armato, presenta una calotta sferica scandita dalle finestre lunettate; le decorazioni in stucco riprendono il motivo del cassettonato. La falsa cupola ricorda, nei pennacchi, il primo Seicento con affreschi di Giovanni Lanfranco.

Il fulcro della Chiesa del Gesù Nuovo, dunque, è ricco di colori e figure plastiche, della bellezza equilibrata del marmo ed una finezza compositiva speciale. Nellanavata destra si aprono tre cappelle ed una cappella più grande che chiude il transetto: la prima cappella presenta decorazioni marmoree di Costantino Marasie Vitale Finelli e dipinti di  Azzolino; la seconda è dedicata a San Giuseppe Moscati e conserva un dipinto all’altare dello Stanzione. La cappella che funge da abside destro presenta ornamenti del Corenzio e marmi del Marasi. Ovunque fiorisce bellezza, nei dipinti classicheggianti che smorzano le arditezze degli ori e dei marmi riccamente colorati, seppur composti. E’ un piacere osservarli da vicino.

Affresco di Belisario Carenzio - Foto di Konstantin Mitroshenko

Le virtù Solimena

Compostezza e simmetria anche nella navata sinistra, che come quella destra ospita tre cappelle. La prima cappella presenta una decorazione del Marasi, una tela dell’Azzolino e affreschi del Corenzio; la seconda è impreziosita con decorazioni di Corenzio e di Girolamo Imparato e statue di Michelangelo Naccherino, Pietro Bernini e Girolamo D’Auria. Il Cappellone di Sant’Ignazio fu decorato dal Fanzago, Costantino Marasi e Andrea Lazzaro. Ancora del Fanzagosono le statue tra le tele di Spagnoletto e Paolo De Matteis. La cappella che funge da abside sinistro presenta marmi disegnati da Giuseppe Bastelli, Domenico di Nardo, Donato Gallone e affreschi di Francesco Solimena.

La chiesa del Gesù Nuovo custodisce uno splendido organo a canne creato da Gustavo Zanin nel 1989. Fu realizzato in sostituzione dell’ organo precedente, secentesco e costruito da Pompeo de Franco, riutilizzandone la cassa barocca e parte del materiale fonico. Una facciata che canta, un organo che rivivendo genera nuove melodie: è un festival di armoniche sinfonie, la Chiesa del Gesù Nuovo.
Un canto che arriva da lontano, e lontano sparge le sue note.

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Come arrivare alla Chiesa del Gesù Nuovo

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La chiesa di Sant’Eligio. Sede di fanciulle, soldati e leggende

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chiesa sant'eligio

Chiesa di Sant’Eligio

È tra le più antiche costruzioni angioine di Napoli, introduce al Borgo degli Orefici ed è situata nei pressi dell’antico Campo Moricino, l’odierna piazza Mercato. La chiesa di Sant’Eligio Maggiore si trova nell’omonima via. Fu costruita nel 1270 in onore dei santi Eligio, Dionisio e Martino, per volere di Giovanni Dottun, Guglielmo di Borgogna e Giovanni de Lionsper, tre francesi frequentatori della corte di Carlo I d’Angiò. Protetta e frequentata dai reali angioini e aragonesi, la chiesa fu dopo poco affiancata da un ospedale. Per questa vicinanza tra le due strutture, nel XVI secolo, don Pedro de Toledo decise di rendere il complesso religioso un educandato femminile dove poter istruire le giovani che volevano apprendere l’arte della medicina. Successivamente, durante il decennio francese (1805-1815), la chiesa divenne anche una caserma. Tornò ad essere un luogo di culto nel 1815. Durante le Seconda Guerra Mondiale, il primo marzo 1943 la chiesa di Sant’ Eligio fu colpita da una bomba che la danneggiò gravemente. È per questo che, la struttura che vediamo oggi è molto diversa dall’originale poiché è l’insieme dei rifacimenti che si sono succeduti nel tempo e che sono iniziati anche prima del Novecento. In particolare, il soffitto ebbe due importanti restauri nel 1490 ad opera di Nicolò Tommaso da Squillace e un altro, nella prima parte del XIX secolo realizzato da Orazio Angelini.

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Interno della chiesa di Sant’Eligio

Si può entrare nel complesso da un ingresso laterale attraverso un portale strombato in stile gotico francese, ricco di motivi naturalistici. L’interno, in tufo, presenta tre navate e diverse cappelle laterali. Fra le principali opere conservate nella chiesa, si segnala un dipinto di Massimo Stanzione, uno dei più importanti esponenti della pittura barocca partenopea, situato sull’altare e rappresentante i tre santi ai quali è dedicata la chiesa. Vi sono poi il “Giudizio Universale” dell’autore fiammingo, Cornelis Smet, una copia del dipinto di Francesco Solimena raffigurante Sant’Eligio in adorazione e una Madonnina lignea risalente al XV secolo, oggi custodita nel Museo di Capodimonte. Nella chiesa si trova anche il sepolcro dello scrittore Pietro Summonte, morto nel 1526.

chiesa-di-santeligio-maggiore

Arco con l’Orologio

All’esterno dell’edificio è possibile osservare come questo complesso sia collegato a un’altra struttura mediante un arco a due piani in pietra e mattoni. Al secondo piano vi è una finestra, al primo un grande orologio che secondo alcuni ricorderebbe l’orologio pubblico di Auxerre o la torre ad orologio di Rouen. L’orologio napoletano è decorato con due teste di marmo: una maschile a una femminile. Secondo una leggenda, narrata da Giovanni Antonio Summonte nella sua Historia della città e del Regno di Napoli, le opere rappresenterebbero Antonello Caracciolo, titolare di un feudo calabrese, e una fanciulla vassalla del nobiluomo. Il blasonato si innamorò della giovane ma non essendo corrisposto decise di rapirle il padre. La regina Isabella d’Aragona, venendo a sapere dell’accaduto, ordinò di far catturare il Caracciolo, di fargli sposare pubblicamente la donna che amava, e di farlo giustiziare subito dopo nel Campo Moricino. Il sodalizio ufficiale sarebbe servito così a lasciare in eredità alla giovane una grossa somma di denaro come risarcimento del danno subito.

Fonti: Franco Cardini, “L’Italia medievale”, Milano, Touring Club Italiano, 2004; “Napoli e il golfo”, Milano, Touring Club Italiano, 2015

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La chiesa di San Gregorio Armeno, un gioiello barocco tra i presepi

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Chiesa di San Gregorio Armeno

Sicuramente se vi capiterà di leggere su una guida o su un giornale le parole “San Gregorio Armeno” penserete immediatamente alla strada resa celebre dai mille presepi che i bottegai mettono in mostra tutto l’anno. E inevitabilmente San Gregorio Armeno vi farà pensare al Natale e alla folla che si accalca nella speranza di vedere la figura di un nuovo pastore. Eppure lungo questa via esiste anche un piccolo gioiello barocco non molto conosciuto: la chiesa di San Gregorio Armeno, nota anche come chiesa di San Biagio Maggiore o di Santa Patrizia.

Tomba

Tomba di Santa Patrizia

Il complesso è situato sopra le rovine di un santuario dedicato alla dea Cerere, antica divinità della vegetazione e del raccolto, le cui sacerdotesse erano tra le più ambite dell’epoca romana. Contiguo vi era anche un tempio dedicato a Proserpina, figlia della dea e sposa di Ade, padrone degli Inferi. La chiesa fu fondata nell’VIII secolo dalle monache di San Basilio fuggite dall’Oriente, a causa delle persecuzioni di Leone III Isaurico che si accanì contro gli iconoclastici, con le spoglie di San Gregorio Illuminatore, patriarca di Armenia dal 260 al 328, a cui fu dedicato il complesso. Le reliquie del Santo sono ancora oggi conservate all’interno della chiesa napoletana, oltre che in altre strutture religiose situate a Nardò e a Costantinopoli. Ma questo ancora non spiega il perché la chiesa sia dedicata anche a un’altra Santa. All’interno dell’edificio fu portato nell’Ottocento anche il corpo di Santa Patrizia, ritenuta una discendente dell’imperatore Costantino. Con il passare del tempo a Napoli il culto della Santa divenne quasi più forte di quello del Santo. Dai primi anni del Novecento invece la chiesa e l’attiguo convento con chiostro sono stati affidati alle cure delle Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucaristia.

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Chiostro della Chiesa

La struttura che possiamo ammirare oggi non è esattamente quella originale. La chiesa, infatti, ha subito grandi rifacimenti nel 1572, ad opera di Giovanni Vincenzo Della Monica e Giovan Battista Cavagna, e ulteriori lavori nel secolo successivo realizzati dall’architetto napoletano Dionisio Lazzari. L’interno della chiesa si presenta come un’esplosione dell’arte barocca. Entrando potrete ammirare il soffitto ligneo a cassettoni intagliato da Giovanni Andrea Magliulo, che lavorò anche nella chiesa di Santa Maria Donnaromita, e decorato dal fiammingo Teodoro D’Errico. Guardando in alto potrete anche notare finestre chiuse con reti metalliche da cui le monache di clausura assistevano alla messa. Altro esempio che mostra la vita condotta dalle religiose è dato dal cosiddetto “comunichino”, usato dalle suore per ricevere la comunione. Si può notare anche la Scala Santa che le monache erano solite salire in ginocchio tutti i venerdì di Quaresima fino a Pasqua. Ciò che colpisce l’occhio immediatamente è l’immensa opera di Luca Giordano “La gloria di San Gregorio”, che decora la semi cupola. La chiesa, a navata unica, è composta da diverse cappellette laterali, una delle quali accoglie le spoglie di Santa Patrizia. Tramite una scala interna si accede poi al convento e al chiostro. Al centro di quest’ultimo, circondato dagli alloggi dove vivono ancora oggi le suore, è situata una grande fontana marmorea in stile barocco, affiancata da due statue settecentesche, realizzate dallo scultore salentino Matteo Bottiglieri, raffiguranti Cristo e la Samaritana.

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Fonti: Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Roma, Newton Compton, 2014; “Napoli e il golfo”, Milano, Touring, 2011.

 

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La chiesa di San Giorgio Maggiore e il dipinto proibito celato ai fedeli

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San Giorgio Maggiore

Napoli, Via Duomo, Chiesa di San Giorgio Maggiore. E’ qui, nel cuore di questo antico edificio paleocristiano, che si cela una delle più importanti e meglio conservate opere del pittore napoletano seicentesco Aniello Falcone.

La Chiesa di San Giorgio Maggiore fu costruita tra il IV e il V secolo su volontà del Vescovo San Severo di Napoli, il che contribuì a conferirle, almeno in un primo momento, il nome di “severiana”. Risalirebbe infatti a un’epoca più recente, ed esattamente al IX secolo, l’attuale denominazione della Chiesa dedicata a San Giorgio Martire.

Nel 1640 un terribile incendio distrusse buona parte dell’edificio, la cui ristrutturazione fu affidata alle sapienti mani di Cosimo Fanzago. Nel corso dei lavori il Fanzago invertì l’orientamento, posizionando l’attuale ingresso in quello che era stato, fino a poco tempo prima, il catino absidale della chiesa.

Nel corso dei secoli l’edificio subì altre modifiche, più o meno importanti, ma risale solo al XIX secolo uno degli interventi più radicali che abbiano interessato la Chiesa di San Giorgio Maggiore. Durante i lavori del cosiddetto Risanamento di Napoli, infatti, l’intera navata del lato destro dell’edificio fu completamente spazzata via per attuare l’allargamento di via Duomo. Ciò conferì all’edificio l’attuale struttura a due navate, quella di sinistra e quella centrale coperta da tre cupole delle quali quella centrale con catino più alto rispetto alle due cupole a scodella laterali.

San Giorgio Maggiore

L’altare maggiore è posto dinanzi a una nuova abside che, di forma rettangolare, è chiusa da due enormi e candide colonne corinzie disposte a semicerchio. Ciò che però più sorprende della Chiesa di San Giorgio Maggiore si trova alle spalle dell’altare maggiore dove è possibile ammirare due giganteschi dipinti di Alessio D’Elia che si fronteggiano. Da un lato, a sinistra, campeggia un titanico dipinto raffigurante San Giorgio che valorosamente combatte contro il drago, databile al 1757. Quest’ultimo sembrerebbe occupare da solo circa quaranta metri quadri della parete sottostante. Dall’altro lato, invece, a destra, troneggia un altrettanto mastodontico dipinto raffigurante San Severo.

San Giorgio

L’opera del solimeniano D’Elia, raffigurante San Giorgio, non è però un dipinto come tanti altri. Le sue mastodontiche dimensioni servirebbero, infatti, anche a celare qualcosa di precedente, qualcosa di maestoso e di proibito. Si tratta di uno dei più imponenti e meglio conservati dipinti falconiani, rappresentante il medesimo soggetto dell’opera che lo cela agli occhi del pubblico.

San Giorgio Falcone

Il dipinto si trova in ottimo stato e presenta vividi colori splendidamente conservatisi, a differenza della maggior parte delle opere falconiane sulle quali appare invece evidente l’inesorabile trascorrere del tempo. Appare chiaro, già a una prima occhiata, che il protagonista assoluto di tale dipinto sia il poderoso cavallo bianco impennato al quale si contrappone un bizzarro drago. San Giorgio, in groppa al candido cavallo bianco, armato di una sola lancia, uccide eroicamente il drago traendo in salvo una terrorizzata fanciulla per la quale sembrerebbe essere stata utilizzata una modella di ispirazione stanzionesca.

San Giorgio Falcone

Sul perchè il dipinto sia rimasto celato per oltre tre secoli esiste una possibile spiegazione nelle tendenze insurrezionali dello stesso Falcone. Quest’ultimo possedeva una bottega a Napoli nella quale accoglieva giovani talentuosi ai quali insegnava le proprie tecniche pittoriche. Tra questi figurano artisti di grande successo quali Luca Forte, Salvator Rosa, Micco Spadaro e Andrea De Lione.

Proprio questi ultimi tre fecero parte, insieme ad Aniello Falcone, di una compagnia da lui stesso creata e chiamata “Compagnia della Morte“. Essa nasceva con l’intento di vendicare l’uccisione di un amico di Falcone attraverso lo sterminio di qualsiasi spagnolo presente a Napoli. Fu probabilmente questo il motivo per il quale le opere falconiane furono bandite. Quando dopo due anni di rivoluzione, infatti, il Regno di Napoli tornò nelle mani degli spagnoli e la “Compagnia della Morte” si sciolse, la bottega napoletana di Aniello Falcone, nel mentre scomparso dalla circolazione, fu immediatamente sostituita con quella di Luca Giordano.

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